San Bonaventura, vescovo e dottore della Chiesa, nacque a Bagnoreggio in provincia di Viterbo nel 1221. Giovanissimo, mostrò una grande prontezza d’ingegno. Dopo aver studiato a Parigi, entrò nell’ordine francescano e fu il frate più colto di tutto l’Ordine, ma anche il più umile.
Fu eletto ministro generale dell’ordine e lo resse con grande sapienza. Fu nominato poi vescovo di Albano. Pur essendo ricco di dottrina, fu sempre pronto all’obbedienza. Gli fu affidato il compito di scrivere la vita ufficiale di San Francesco d’Assisi, la così chiamata Legenda Maior, illustrata poi da Giotto sulle pareti della chiesa superiore di San Francesco in Assisi. Bonaventura non conobbe Francesco, ma riuscì a portarne avanti lo spirito nei nuovi tempi storici. Infatti, la nuova generazione aveva avvertito il bisogno di penetrare non solo negli ambienti più umili, come del resto fu all’inizio, ma anche in quelli intellettuali. Questo fatto costituiva un pericolo, in quanto si temeva che in quegli ambienti i francescani perdessero la loro caratteristica semplicità e umiltà. San Bonaventura seppe spiegare come tutti possono mantenersi umili in qualsiasi stato di vita e di cultura si trovino e che l’umiltà sostiene più alto e più profondo l’amore. Un giorno Bonaventura andò a visitare a Monteripido, presso Perugia, uno dei più semplici compagni di San Francesco, frate Egidio, ex contadino, che si mostrò molto preoccupato del nuovo indirizzo culturale dell’Ordine. Quando frate Egidio vide il maestro Bonaventura, gli disse: “Maestro, a voi Dio ha fatto grandi doni di intelligenza ma noi di ingegno grosso e senza studi, che non abbiamo alcuna scienza, come faremo a salvarci?” Fra Bonaventura rispose: “Se Dio dà all’uomo soltanto la grazia di poterlo amare, questo basta.” Frate Egidio attendeva proprio questa risposta. Tuttavia continuò chiedendo: “Può dunque un ignorante amare Dio come un dotto?” E Bonaventura: “Una vecchiarella può amarlo anche più di un maestro di teologia”.
L’amore, nell’espressione della massima carità, fu la base della dottrina di San Bonaventura. Nel libro che egli scrisse alla Verna “Itinerario della mente in Dio” sosteneva che l’intelligenza dovesse essere come le ali del Serafino che era apparso a San Francesco, proprio alla Verna, ali risplendenti di fuoco. A nulla, infatti, vale l’intelligenza se è priva del fuoco della carità. Una mente incendiata d’amore sale sempre più verso l’eterna verità che è Dio, amore purissimo. E chi tanto si immette in Dio e si lascia accendere di desiderio di Dio riceve la mistica sapienza dallo Spirito Santo che Cristo ha portato in terra. San Bonaventura a questo proposito ci spiega “Se poi vuoi sapere come avvenga tutto ciò, interroga la grazia non la scienza, il desiderio non l’intelletto, il sospiro della preghiera non la brama del leggere, lo sposo non il maestro, Dio non l’uomo, la caligine non la chiarezza, non la luce ma il fuoco che infiamma tutto l’essere e lo inabissa in Dio con la sua soavissima unzione e con gli affetti più ardenti”.
Morì a Lione nel 1274.
Molte le sue opere di carattere teologico e filosofico. La sua memoria ricorre il 25 luglio.